Organizzare l’azienda è un progetto o un processo?
Nel 2016 la Mc Kinsey evidenziava come solo il 23% dei progetti raggiungono il successo.
La cosa interessante di questa indagine è il fatto che il giudizio poco lusinghiero veniva espresso dagli stessi titolari che, rivedendo le aspettative su questo genere di attività, con ogni probabilità non rifarebbero una scelta di questo tipo.
Nel giugno del 2020, appena usciti dal lock down, abbiamo deciso anche noi di sondare le persone che lavorano in azienda su un tema che rimane comunque centrale nella gestione d’impresa.
Le risposte che abbiamo ottenuto richiamano alcuni aspetti ormai consolidati dei processi di riorganizzazione aziendale, ma propongono delle osservazioni che possono aiutare chi, oggi, immagina di ripensare il suo modo di fare business.
Oltre che nel webinar di presentazione dei risultati dell’indagine, alcune delle considerazioni che sono emerse vogliamo riepilogarle in tre filoni principali
1. L’Orientamento temporale della riorganizzazione
Aaron De Smet sostiene che l’insuccesso delle riorganizzazioni sia da addebitare all’atteggiamento degli imprenditori che le promuovono. Spesso mossi dalla contingenza di problemi che non è possibile ignorare ancora, promuovono una riorganizzazione che guarda così al passato, e non al futuro dell’azienda.
Questo genere di atteggiamento rischia di portare soluzioni a problemi che, in modelli di business destinati a cambiare sempre più spesso, potrebbero non essere centrali per il futuro delle imprese.
La nostra indagine ha chiesto su cosa le persone avrebbero basato le riorganizzazioni aziendali e la risposta più gettonata è stata sull’efficienza dei processi interni, prima che sulla strategia.
Ripensare l’organizzazione delle aziende è un progetto di successo se sostenuto da una visione del futuro, e non come frutto di problemi che appartengono al passato.
Valutare quali processi potrebbero essere da potenziare è un passaggio che arriva dopo la valutazione della strategia.
In questo senso, conforta comunque scoprire che i moderni strumenti del business design, come il Business Model Canvas, risultano conosciuti da una discreta parte degli intervistati.
2. Attori del cambiamento
Se solo una riorganizzazione su 4 arriva al successo, la valutazione che ne viene data può differire in maniera anche rilevante se la domandiamo a chi lavora in azienda.
Se i titolari tutto sommato si danno la sufficienza, manager e addetti sono molto meno lusinghieri.
Nella nostra indagine abbiamo rilevato una forte corrispondenza tra queste valutazioni (a sinistra) e il coinvolgimento in attività di condivisione del business model.
Se il successo delle riorganizzazioni non è garantito da un ampio coinvolgimento delle persone, soprattutto se non siamo in grado di assicurare che delle loro indicazioni si riesca a tenere conto, il mancato coinvolgimento delle persone è di sicuro una causa potenziale di insuccesso.
Domandare di attuare il cambiamento a persone che non sono state coinvolte nelle attività in cui quel cambiamento è stato immaginato rischia di produrre risultati contrari a quelli attesi.
Ottenere il meglio dalle persone deve essere considerato come il risultato di un’azione che parte a monte, da una corretta definizione e condivisione della vision (vedi in proposito il seminario di Silvia Rotelli), così siano chiari i collegamenti tra ciò che le persone fanno e gli obiettivi aziendali.
Questa connessione è stata dimostrata da una delle 12 domande della fondamentale indagine di Gallup sulle organizzazioni aziendali, che puoi trovare qui.
3. La Valutazione dei risultati
Esattamente come avviene per le attività di business, molto spesso le valutazioni espresse sul successo delle attività di riorganizzazione sono condizionate dalle diverse unità di misura adottate da chi vi ha preso parte.
Se è vero che essere o sentirsi attori del cambiamento è un ottimo incentivo motivazionale, il ruolo ricoperto in azienda fornisce le coordinate per valutare l’efficacia dei processi di riorganizzazione.
In questo senso, se per l’imprenditore un recupero di risorse economiche remunera in maniera tangibile lo sforzo di ripensare i processi, l’aumento della complessità di accesso alle informazioni o un semplice cambio di referente può costituire, per un addetto, una richiesta di cambiamento che deve trovare un contrappeso nel “bilancio interiore” che gli permetta di dire: “ok, ne vale la pena”.
CONCLUSIONI
La riorganizzazione è sempre di più, e lo sarà in misura maggiore in futuro, un’attività configurabile come processo continuativo, che occorre mettere in pratica con muscoli allenati a cambi di direzione che possono essere anche molto rapidi.
I cicli economici stabili che si sono succeduti nei secoli scorsi hanno ormai lasciato il passo a un’epoca di turbolenza dove solo chi sarà in grado di “costruirsi le ali dopo essersi buttato dalla scogliera” (K. Vonnegut) sarà in grado di sopravvivere.