Il nostro futuro comune

L’ampliamento delle nostre prospettive è il primo passo verso la creazione di una base più soddisfacente per la gestione delle interrelazioni tra la sicurezza e lo sviluppo sostenibile.

Queste parole sono state scritte nel 1987 nel rapporto intitolato “Il nostro futuro comune”, anche noto come Rapporto Brundtland. Molti elementi di quel documento, con cui fu coniato il termine “sviluppo sostenibile”, restano tuttora validi.

Il Rapporto Brundtland ha dimostrato come i conflitti possano emergere non soltanto a causa di minacce politiche e militari ma anche dal degrado ambientale e dalla mancanza di possibilità di sviluppo e di crescita economica.

Da allora sono trascorsi oltre tre decenni di impegno globale per lo sviluppo sostenibile.

Una tappa fondamentale è stata l’approvazione da parte dell’ONU dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, un piano di azione globale per le persone, il Pianeta e la prosperità.

L’Agenda affronta cinque tematiche principali: la popolazione, il pianeta, la prosperità, la pace e i partenariati. Questi temi sono affrontati attraverso 17 obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) che a loro volta si snodano in 169 target, volti a specificare gli ambiti di azione per arrivare al soddisfacimento dei singoli obiettivi.

All’appello sono state chiamate imprese, governo, enti e società civili, come protagoniste per la creazione di soluzioni innovative, l’adozione di nuovi stili di vita e comportamento, al fine di arrivare alla costruzione di un futuro più sostenibile e inclusivo, in un contesto globale in cui la domanda di risorse finite non cessa di aumentare, la concorrenza si acuisce e la pressione su queste risorse degrada e indebolisce sempre di più l’ambiente naturale e umano.

Conto alla rovescia

Mancano esattamente 10 anni alla scadenza degli obiettivi previsti dall’Agenda 2030, il nostro paese risulta ancora molto indietro rispetto alla media europea.

Tra il 2010 e il 2019 l’Italia migliora in otto Goal: alimentazione e agricoltura sostenibile, salute, educazione, uguaglianza di genere, sistema energetico, innovazione, modelli sostenibili di produzione e di consumo, lotta al cambiamento climatico.

Per sei obiettivi, invece, la situazione peggiora: povertà, acqua, condizione economica e occupazionale, disuguaglianze, ecosistema terrestre e cooperazione internazionale, mentre per i re-stanti tre (condizioni delle città, ecosistema marino e pace, giustizia e istituzioni solide) la condizione appare sostanzialmente invariata.

Nell’occasione di questo conto alla rovescia che ci avvicina al 2030, abbiamo lanciato una Survey con l’intento di comprendere la percezione e la consapevolezza rispetto le azioni intraprese e il rapporto tra il mondo del business e la sostenibilità.

Sostenibilità intesa come la capacità di assumere comportamenti e scelte con un impatto positivo sotto il profilo economico, sociale ed ambientale.

Cosa abbiamo scoperto?

Abbiamo scoperto che la fiducia verso l’imprenditoria italiana come fautrice di azioni orientate verso comportamenti sostenibili è piuttosto bassa.

Di fronte alla domanda Quante imprese in Italia risultano impegnate nell’adozione di almeno un “comportamento sostenibile” (riduzione impatto ambientale, sicurezza, valorizzazione persone…)?”.  L’80% dei partecipanti ritiene che meno del 40% delle aziende italiane svolga azioni con impatti sociali ed ambientali positivi.

Vi sorprenderà saperlo, ma secondo il Censimento Permanente ISTAT (pubblicazione giugno 2020), ben l’84,3% delle imprese italiane ha portato a termine almeno una azione di sostenibilità sociale e il 75,8% ha realizzato almeno una azione di sostenibilità ambientale.

L’orientamento delle azioni muta tra i diversi settori e in base alla dimensione delle aziende.

Difatti, i comportamenti sostenibili crescono all’aumentare della dimensione dell’impresa. Le unità produttive di grandi dimensioni (250 addetti e oltre), presentano valori di oltre 10-20 punti percentuali superiori alla media nazionale. Inoltre, le micro-imprese (3-9 addetti) mostrano un più accentuato orientamento al miglioramento del benessere lavorativo, mentre le imprese con 500 e più addetti, risultano più attente alla sicurezza e alla riduzione dell’impatto ambientale.

Guardando comunque al quadro generale, si nota una forte attenzione ad interventi per il miglioramento del benessere lavorativo e in seconda posizione ad azioni per la riduzione dell’impatto ambientale.

Sul tipo di orientamento delle imprese nell’adozione di comportamenti sostenibili, la percezione diffusa tra i partecipanti è quella di investimenti orientati soprattutto alla sicurezza e alla riduzione dell’impatto ambientale.

Nessuno dei partecipanti ha considerato il miglioramento del benessere lavorativo come un ambito di investimento delle imprese. Questo dato è la dimostrazione che c’è ancora molto da fare e che spesso quello che le aziende promuovono come interventi migliorativi per i lavoratori non si traduce in effettivo benessere per gli stessi.

Infine, c’era un ultimo aspetto che volevamo indagare:

“Investire in sostenibilità sociale ed ambientale porta benefici in termini di produttività sul lavoro?”

Secondo il Rapporto ISTAT 2019, integrando le evidenze sulle misure adottate in materia di sostenibilità con i dati sulla performance delle imprese, si nota un’associazione positiva fra l’adozione di comportamenti virtuosi e i livelli di produttività del lavoro delle imprese, espressi dal valore aggiunto per addetto.

A parità di condizioni, infatti, si osserva l’esistenza di un “premio di sostenibilità”, in termini di produttività del lavoro, che cresce all’aumentare del grado di attenzione alla sostenibilità ambientale e sociale dell’impresa. Questa relazione sembra valere però solo per le imprese con alte dotazioni di capitale umano e fisico, superiori ai valori mediani delle imprese osservate (50 addetti e oltre): il “premio” risulta infatti minimo o nullo se i livelli di capitale sono inferiori a tale soglia.

Possiamo fare di più

I dati ci raccontano un certo movimento intorno al tema, la sostenibilità è la nuova frontiera del business.

Non più solo immagine. La sostenibilità deve essere inserita nelle scelte strategiche delle aziende come fonte di vantaggio competitivo.

I benefici nell’adottare una strategia imprenditoriale orientata alla sostenibilità sono molteplici:

  • fidelizzazione e motivazione dei dipendenti,
  • incremento delle performance
  • riduzione degli sprechi,
  • sviluppo di nuovi business,
  • efficientamento nell’uso delle risorse,

Dobbiamo tenere presente però che la sostenibilità non si improvvisa e che se fatta in malo modo (es. dichiarando azioni di facciata senza mettere in atto azioni effettive) può avere ripercussioni particolarmente negative per il business.

Diventa quindi essenziale riuscire a collegare il proprio business con le aree di impatto sociale e/o ambientale più attinenti al proprio modello.

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