INNOVARE OGGI: Dalla cultura del fare alla discontinuità come sistema

Il reale andamento delle imprese deve essere valutato oggi con strumenti che, come scrive Giancarlo Corò, professore di economia ed esperto di distretti, devono integrare i tradizionali indicatori che affidavano solo all’import-export il ruolo di termometro della salute del Nordest.

Su un campione di 1000 aziende con più di 10 dipendenti del Nordest del Paese, solo una su tre ha ridotto nel 2009 gli investimenti in innovazione. La crisi che dura (nonostante alcuni timidi segnali di ripresa) non ha scalfito la volontà di trovare nuove soluzioni.

Magari una rondine non fa primavera, e la spesa per innovazione di prodotto o processo non è di per sé sintomo di benessere dell’impresa, ma quello che risulta evidente oggi è che solo chi saprà interpretare in maniera globale lo scenario potrà assicurare la sopravvivenza e lo sviluppo della propria attività.  Ma qual è il significato del termine innnovazione oggi?

Paul Burkner, CEO della Boston Consulting Group, sostiene che le imprese devono ripensare “the new normal“. Lo stravolgimento dei “vecchi” modelli di business impone ai titolari di azienda di pensare in termini strategici a quale sarà il loro “nuovo” modello.

Con quali modalità saranno in grado di assicurare  la capacità dell’azienda di andare incontro a bisogni che evolvono in maniera molto rapida e meno prevedibile che in passato? Ciò che emerge unanimemente dalle parole degli esperti di trend economici, è la necessità di abbandonare qualsiasi atteggiamento attendista.

Le aziende hanno bisogno di decisioni strategiche per innovare

La diffusione del precariato, soprattutto nelle fasce di popolazione più giovane, tradizionalmente motore dei consumi di una vasta gamma di beni e servizi, ha generato nel consumatore la capacità (oltre che la necessità) di decidere autonomamente. “Il fascino del nuovo non ha più presa se non si basa su una autentica innovazione” e, scrive Giampaolo Fabris “la richiesta di durata è fra i tratti della qualità che va ritrovando una nuova centralità”.

La parola d’ordine pare essere discontinuità: nei consumi, nelle modalità di acquisto, nei modi di produrre. Discontinuità come fondamento culturale per capire e interpretare al meglio un mondo che forse dovremo semplicemente rinunciare a definire. Per fare questo non basta fare meglio ciò che si è sempre fatto. E’ necessario essere pronti a fare cose nuove, come non abbiamo mai fatto.

Alcuni riescono ad innovare senza cambiare la struttura direttiva, altri possono trarre beneficio dall’istituzione di Think Tank formati da persone nuove, spesso giovani, cui affidare il compito di inventare, letteralmente.

L’esempio della Apple è chiarissimo: alla base del successo di tutti i prodotti lanciati negli ultimi anni, a partire dall’iPod, c’è la capacità di individuare nuove modalità di fruizione, associate all’acquisto del bene. Un modello di business che ha tenuto conto degli introiti derivanti dai servizi associati più che dalla semplice cessione del prodotto. Un’idea in grado di tenere ancora a distanza concorrenti ben dotati di risorse come Google, Microsoft e Dell. Loro stessi fulgidi esempi di discontinuità.